DONNE CHE CORRONO SENZA I LUPI

Nella contingenza attuale sembra che la tematica ambientale sia divenuta argomento principale condiviso dai più, spesso con accezioni discutibili o strumentali.

L'ambiente che ci circonda spesso contribuisce alla creazione di una nostra identità, ancor più quello che ci avvicina al primordiale, come lo spazio incontaminato dei boschi.

Ersilia Sarrecchia è selvatica dentro e con questa sua nuova personale intende omaggiare la sua natura con una scelta pittorica che trascende dalla bontà del soggetto e dal sociale, ma tocca profondamente la sfera intima. La sua attitudine è quella fondamentalmente di tutte le donne consapevoli, che abbracciano la naturalezza dell'essere senza timori di giudizio da parte della società.  La serie Ora che posso fermarmi a guardare, presenta assemblaggi di fiori e vegetazione, ed è composta da opere inedite su tela e tavola ad olio e tecniche miste, che fanno riferimento a passeggiate boschive, tra arbusti in cui spuntano germogli e ciclamini che iniziano a germogliare sotto il manto nevoso. Comprende accenni autobiografici e rimandi poetici, che si focalizzano sul respiro della terra e nel contempo sulla mancanza del respirare, come se fossimo, in qualità di spettatori, immersi in mezzo a quella natura che rinasce dal torpore invernale come metaforicamente succede anche sovente nella vita. La traccia autobiografica è dunque spunto di una rilettura metaforica dell'esistenza misteriosa delle piante, con un afflato romantico più che da esploratore naturalista. I significati simbolici floreali, fanno da contrappunto al passo e al respiro dell'essere umano alleato con la natura circostante, che palpita come una presenza viva, come uno Sturm und drang fatto di percezioni alterate e sensorialità pura.

Ersilia Sarrecchia si addentra con passionalità tra i fogliami come una ninfa del bosco, trattenendo la curiosità di un ricercatore, annusando, toccando, abbracciando, con la volontà di captare la sensualità latente dei fiori selvatici, spesso nascosta da un'apparenza non esteticamente apprezzabile, attraverso il tocco della terra e dei petali, l'odore deciso dei germogli, delle viole del tarassaco, che si trasforma in materia pittorica. La capacità dell'artista di giocare su livelli differenziati è particolarmente intrigante, poiché si nota la volontà di passare dalla stesura di un bianco abbagliante pregno di materialità alla graffiatura del segno che accenna alla presenza floreale senza mia troppo rimarcarla.

Il fiore è da sempre ricco di significati arcani. A partire dalla rosa, simbolo della Vergine mistica, molto utlizzato nell'iconografia medievale. La pianta scelta dall'artista è indomabile, ha una sua vita segreta, si nasconde tra le fratte, compare all'improvviso sorpendendoci.

E se è vero che le piante ci parlano e pulsano, ancor più le erbe velenose e officinali trasmettono messaggi, usate un tempo dalle streghe per curare o praticare incantesimi.

Con poche e rapide pennellate gli steli perdono la loro essenza formale e figurativa passando all'astrazione e si plasmano sotto alla dittatura del pensiero dell'artista che destruttura.

Tutto avviene tramite il gesto violento del pittore che segue un suo tragitto mai predefinito, che prende vie inedite e trasforma l'esistente.

Selvaggia è la donna quindi ma anche la stratificazione materica che viene interiorizzata e riformulata attraverso la puntualità istintiva del gesto e la pastosità del colore, che ricompone l'immagine fino ad a farla diventare altra cosa, a sostituirsi al soggetto e talvolta a cancellarlo.

C'è una diretta corrispondenza tra le due parti nell'atto di rivivere una nuova fioritura, un nuovo inizio, tra la materia che si fa strada e si intreccia con un percorso vitale della donna (Rifiorire).  

Nel “suono della natura” gli spartiti musicali delle canzoni scelte non a caso, fanno da sfondo all'intercettazione della pennellata e all'effetto cromatico che si fonde alle note che appaiono dal livello sottostante. Pentagramma e fiori diventano un alfabeto dell'ascolto dei suoni naturali, del camminare assieme, del rifiorire e della metamorfosi in azione.

Un viaggio iniziatico in una nuova dimensione, un immergersi nei suoni che culmina nell'opera Scomposta, dove appare il buio mischiato al turbinio di cromatismi più cupi ma comunque avvolgenti. Ersilia Sarrecchia torna alle sue origini, quelle di Eva, dell'innocenza primordiale, o di Lilith, la sua parte oscura, dicotomia potente e ben presente nell'universo del femminile. 

FRANCESCA BABONI


SHE, olio e acrilico su tavola 120x120, 2018. Collezione privata, Modena

LOST PARADISE  di Francesca Baboni 

Nella pacatezza dello sguardo degli animali
parla ancora la saggezza della natura;
perchè in essi la volontà e l'intelletto
non si sono ancora distaccati abbastanza l'uno dall'altro
per potere al loro reincontrarsi stupirsi l'uno dell'altra

Arthur Schopenauer

La parola ambiente nella contingenza contemporanea è oramai sulla bocca di tutti e a portata di social. Ma quanto in realtà ci si preoccupi di come effettivamente stiano le cose è tutta un'altra storia. Dall'effetto serra alle deforestazioni sicuramente il nostro habitatnaturale si è radicalmente modificato nel corso degli anni, portandoci all'avvento di disastri idrogeologici e ad una sorta di ribellione da parte della madre terra. Nei dipinti di Ersilia Sarrecchia avviene invece un'apparente riconciliazione tra mondo animale e mondo vegetale, come se l'uno e l'altro fossero immersi all'interno di un ipotetico Paradiso terrestre perduto, incontaminato da ogni sentimento negativo tipicamente umano. Protagonisti di una visione fiabesca e onirica, che si lascia alle spalle ogni bruttura dell'umanità, le sue creature lasciano spazio a sensazioni di tranquillità e pacatezza, come se avessero addomesticato la loro natura ferina, sebbene non manchino, tra le macchie pittoriche gestuali del paesaggio che si muove attorno turbinoso, note di selvaggia violenza, nei colori crudi e pastosi, nelle tracce rosse di sangue, nelle colature che aggrediscono la figura e nei tramonti infuocati. Come rimembranze che affiorano da un'età infantile, brani di ricordi di una edulcorata convivenza uomo-natura, i soggetti del suo particolare bestiario, cervi, lupi, avvoltoi, non sono mai ritratti in atteggiamento di attacco o di difesa, ma sempre in atteggiamento quasi umano e benevolo, mentre si rivolgono allo spettatore in attesa di una possibile rinascita.
Un studio particolare che l'artista attua su alcune raffigurazioni è la dimostrazione del doppio, che da sempre indica ambiguità, ma nello stesso la ricerca di una specifica identità. Nelle visioni, il soggetto si sdoppia costruendo un viatico spazio-temporale, una prospettiva diversificata visibile da differenti punti di vista, che lascia una suggestione straniante in chi osserva. Anche nelle opere in cui i fiori prendono maggior spazio, sbocciando rigogliosi sul primo piano, la vegetazione sembra quasi pulsare di una vita segreta e nascosta che la rende parte di una continuità viva e creatrice.  
E se non è necessaria la presenza dell'uomo, in quanto gli esseri viventi bastano a loro stessi, l'umanità che traspare dalle posture animali è reale e amplificata dai colori accesi, che raggiungono talvolta delle note fluorescenti, delle pennellate che li vanno a connotare. Come se quel gesto istintivo compiuto dall'artista a suggello di un rapporto emotivo potesse dare loro una vera vita.

NOT ONLY A WILD STORY  di Stefano Taddei

A silent child climbs a mound of char

Where he plants a seed that grows beyond the stars

Greta Van Fleet, Brave New World

Ci hanno da sempre raccontato di essere animali umani progrediti. In realtà ogni giorno della nostra esistenza si dispiega e spegne nel confronto/battaglia con dei simili che ci sembrano come minimo degli alieni. Ecco quindi che tale racconto che ci accompagna nel nostro normale esistere deve essere come minimo rimodulato. Siamo un popolo di mentecatti che si suicidano l’uno con l’altro in nome di futili voglie, sempre insoddisfatti e perennemente alla ricerca di nuove vittime. Abbiamo relegato i bambini in un Eden dove a loro sarebbe permesso tutto, in nome di un seguito da grande regno dell’infelicità planetaria. Ecco che un tempo vissuto in modo intensamente empatico - quello dell’infanzia - viene sacrificato [1] in nome di un sentire comune livellato verso il basso- quello adulto. Ersilia Sarrecchia nutre il proprio sentire rifacendosi a quel mondo ancora incontaminato dall’essere “ maturi “. Questo mondo non è però da considerarsi ingenuo, è infatti un riferimento ad un periodo esistenziale inevitabile. Il fatto che l’autrice poi si riferisca agli animali è un ulteriore tassello che parla a tutti noi. Infatti guarda a quel fascino che tutti abbiamo provato per il mondo animale, a quei fantastici volumi che ne decantavano le meraviglie o la pericolosità. In un modo squilibrato nell’immaginario [2], che pensa di vedere e avere visto tutto perché immortalato o condiviso nei vari dispositivi, Ersilia Sarrecchia ci pone un garbatissimo alt. Tale fermata ci può permettere un approccio congruente alla visione che si mostra in modo peculiare. Questa è infatti un’interpretazione che si aggancia ad un sentire che, nell’intimo, tutti abbiamo mantenuto perché ci hanno sempre insegnato che non sarebbe più tornato. Una società votata alla propria distruzione è la realtà che ci ha trasmesso tutto ciò. Una congiuntura che sa solo inventare storie che paiono nascondere continuamente un senso di presa in giro del prossimo e che coinvolge ormai vari campi del vivere [3]. Quella di Ersilia Sarrecchia è una storia estetica e personale che cerca di essere il più attendibile possibile, pur essendo conscia che ormai la verità [4] è, come minimo, un’altra versione della fantasia. In simili tempi, dove il caos è una delle uniche certezza, la sincerità è guardarsi dentro ed esemplificare qualcosa pregno di significazioni. In fondo, ascoltare il cuore, per chi lo sente ancora, è una questione di vita o di morte. E in queste opere dell’autrice di vita ne passa ancora tanta.


[1] René Girard, La violenza e il sacro, ed. or. 1972, Milano, Adelphi, 1980.

[2] Joan Fontcuberta, La furia delle immagini Note sulla postfotografia, ed. or. 2016, Torino, Einaudi, 2018.

[3] Christian Salmon, Storytelling La fabbrica delle storie, ed. or. 2007, Roma, Fazi Editore, 2008.

[4] Vasco Rossi, La verità, Universal Music Italia s.r.l., 2018.

LE NINFEE ACCANTO, olio e acrilico su tela 50x50 cm, 2018

IN / NATURA

É una natura rigogliosa quella descritta da Ersilia, talmente vigorosa

da dare l’idea che nulla la possa arrestare o scalfire. Sono la sfrontatezza di certi toni accesi e le pennellate stese in modo deciso a condurre il gioco e catturare la nostra attenzione. Ma lo sguardo corre poi ad altri fattori non secondari.

L’artista ci introduce in un “habitat” onirico, nel quale tutta la composizione è attraversata da interferenze di colore generate da una gestualità istintiva, e dove taluni elementi si sfaldano e si liquefanno sotto i nostri occhi, alludendo alla fragilità di un equilibrio non scontato e vulnerabile ai capricci del clima. In tutto ciò, si inserisce la presenza animale, abitanti di terra, aria e acqua che sembrano invitarci ad indispensabili riflessioni.

Gaia Bertani e Nicla Ferrari

WILD / Ersilia Sarrecchia  

Selvaggio come pensiero libero che fluttua da un colore all’altro, come camminare tra un bianco/nero prima che diventi luce; selvaggio come materia incontaminata percorsa dall’idea in divenire, come latente giovinezza in un mondo antico, come bellezza maturata al sole. 

Libero come selvatica danza arcaica.

Come quei profumi di legni e di muschi che non si possono catturare ma solo accarezzare con l’olfatto.

Indomito come ululato profondo, richiamo, lamento, canto di gloria.

Indomito come inno alla libertà di certi cieli, come quei venti caldi che preannunciano cambiamenti.

Come ricerca della propria ombra in mancanza di luce, come la percezione di tangibile presenza in ogni vitale separazione, come traguardo raggiunto e subito ripartenza, come i pensieri vestiti di buio che svaniscono col giorno.

Come certi sguardi che attraversano l’anima, si arrampicano sulle spalle e scivolano sui fianchi.

Primitivo come storia muta narrata per immagini, come comunicazione errante, come vagabonda ricerca, come intima confessione, come poesia mai dimenticata e carnevale di colori.

Liberamente vulnerabile come moderna Artemide e coraggiosa Ofelia.

Come instancabile guerriera.                                                                

Come cascata di riccioli ribelli.

Fummo tutti selvaggi in un tempo lontano. Non perseveriamo nel farci addomesticare.   

 Francesca Piovan 

SINTESI E METAMORFOSI   di Laura Cianfarani

Vent’anni di carriera in cui si tirano le somme di una Weltanschaung e di un approccio all’arte del tutto personali. Minimo comun denominatore: il tema naturalistico, specchio di un’intimità umana e artistica e di un rapporto viscerale con la campagna e il popolo animale. Vent’anni di lotta fra disegno e materia, figurazione ed astrazione, emblema della contrapposizione tra la razionalità umana, l’artificiosità, e la spontaneità, l’istinto animalesco, che in termini artistici si traduce nel gesto, nella pennellata libera, nel graffio, nella sgocciolatura. Ma gli animali, le rane di Ersilia, le farfalle, sono anche elementi simbolici della complessità antropica, della metamorfosi insita nella natura e nell’uomo, trasformazione in grado di unire i due mondi e rappacificarli; di ritorno ad una dimensione dove non c’è conflittualità ma armoniosa convivenza. In questo modo l’arte si fa portatrice di un messaggio di speranza, anelito alla riconciliazione con la nostra natura più autentica e indole pura. Ed è in Wild che la sintesi giunge a compimento, nel connubio tra astratto e figurativo, nella simbiosi tra disegno e gesto, l’essere e il suo habitat. Utopia? No, semplicemente desiderio e necessità esplicitati e resi possibili da quel linguaggio universale che è la pittura.